05/05/13

int. (1-2) Navigare nel cielo



Se chiudi gli occhi lo puoi sentire,
quel soffio che ti accarezza la pelle,
il flusso sanguineo che rallenta negli arti.

Se fermi il respiro lo puoi avvertire,
quel nodo in gola che ti stacca il corpo,
le formiche che ti sorreggono il capo.

Se perdi i sensi lo puoi sognare,
quel mare in testa che ti culla i pensieri,
il cielo del quale ora fai parte.

by Mirko Delgrossi

04/05/13

Extras 1) Anteprima! Libro: "la bambola vudù illuminata"

Mille aghi intersecano al suolo,

milioni di scintille sono riflesse dal bagliore del sole su di essi;

mille aghi rimangono al suolo immobili,

un’immensa distesa di gioco dello shanghai.

Mi chino e ne estraggo rapidamente uno,

sono travolto da uno tsunami ad effetti domino.

Non ho considerato prima la posizione degli altri.

Avrei potuto farmi male,

avrei potuto non trovare la giusta soluzione all’enigma.

Al mio collo però dondola un pendolo e ormai l’ho fatto …

L’ho fatto oscillare uscendo dall’apatia comune.

Non sono più una bambola vudù in mano a loro,

riesco finalmente a strapparmi gli aghi di dosso

e ad abbandonarli lungo il mio cammino.

Il mio sangue e quello di noi comuni ne ungono le punte,

dal primo estratto cade una goccia vicino ai miei piedi,

si estende ad una grande pozza, nella quale riesco a rivedermi

-

Avevo sei anni e stavo in riva al mare dell’adriatico, gli altri bambini giocavano a fare dei castelli di sabbia e si divertivano nell’acqua con palloni, schizzate, tuffi, corse, nuotate …

Io invece me ne stavo assorto nelle mie riflessioni, in mano un pugno di sabbia che lasciavo lentamente scorrere a granuli verso terra.

Osservavo i singoli granelli mentre come in una clessidra scandivano il tempo dei miei pensieri. In quel momento si avvicinò un amico di mio padre.

“Mirko che fai qui, vuoi costruire un castello di sabbia?”

Avevo dunque destato un’attenzione alla mia causa, non che ne fossi interessato anche perché le risposte le volevo trovare da solo, ma mi convinsi che forse un adulto avrebbe potuto guidarmi verso una giusta soluzione.

“ No in realtà mi stavo chiedendo da cosa fosse composta la sabbia, hai mai notato che ha mille colori, ma da lontano sembra marroncina?”

Ugo, così si chiamava l’adulto, rimase un po’ sorpreso della domanda e mi raccontò storie studiate all’università riguardanti sali, conchiglie, parti di gas e mille altre cose che non ricordo e non ho la minima intenzione di andare a rivedere sulle enciclopedie.

Io in realtà ci vedevo tutt’altro.

Io all’interno della sabbia vedevo l’oro, così scintillante da poter far riflettere l’intera spiaggia.

Vedevo i colori del mare mi sembrava di scorgerne all’interno distese di oceani con esseri viventi molto più piccoli di noi.

Non solo mi sembrava addirittura che ogni piccolo granello avesse un proprio microcosmo interno pieno di vita.

“Dai facciamo un castello di sabbia che sicuramente è più divertente.”

A distogliermi dai miei pensieri ovviamente era l’amico di mio padre.

Mi misi con lui a lavorare la sabbia e non pensai oltre.

-

Purtroppo diventare adulti vuol anche dire chiudere gli occhi ai sogni, serrare la mente ai nostri obblighi, sbarrare le porte del carcere della nostra società, entrando a far parte del comune schiavismo inconsapevole.

Mi sbaglio?

Illuminatemi voi allora che parlate con bocche manipolate da persone delle quali nemmeno conoscete l’esistenza!

Io ora lentamente cercherò di tornare ad essere un bambino, per avere la mente libera come in quel preciso istante in cui, solo con me stesso, stavo seduto sulla spiaggia ad osservare la sabbia e a cercare di capire.

Per fare ciò dovrò affrontare un ago alla volta, con calma e dedicandoci molta attenzione, per non smuovere irrimediabilmente tutti gli altri.

Osservo nuovamente bene il primo e mi ritrovo nel nulla, in mano un pugno di sabbia …

Un’espressione che forse qualcuno ha coniato per forviarci.

Io questa volta adulto ma con la capacità di osservare.

Allento leggermente la presa ed un singolo granello argenteo ne fuoriesce dal basso, mentre cade, riesco ad osservarlo in tutto il suo splendore.

Uno specchio che riflette il mio viso.

Ne seguono molti altri di granelli in caduta ma nessuno con lo stesso colore, odore o forma. Differiscono l’uno dall’altro in maniera eclatante.

L’oro che vedevo da piccolo lo riesco a scorgere ancora, mi racconta storie di ville immense, di piscine, di viaggi,di specialità da degustare, di sport, di politica, di mare, di montagna, di agi, di …

Aspetta ... le immagini cominciano a sbiadire ….

Sono avvolto dalle nubi, mi circondano, m’intrappolano, mi abbracciano.

Le nuvole si tingono di rosa e prendono forma.

Sono forti, sono sensibili, sono materiali, sono delle braccia.

La cosa più preziosa è e rimarrà sempre l’affetto che viene espresso da una coccola, da un sorriso o da una semplice carezza. Il bisogno del contatto con il calore corporeo, la smania nel sentirsi sempre protetti o ancora l’odore dell’amore.

Un gioiello che non si perde nel tempo, una pietra preziosa che non può invecchiare. Era questo, che vedevo nell’oro.

Mi concentro ora sul blu oceano e penso a quanto sia vasto il mare. Penso a quanti esseri, che nemmeno ancora conosciamo, stiano migliaia di leghe sotto allo stesso. Mi concentro sul colore che lascia sulla sabbia e me ne domando il perché.

Forse perché vuole mandarci qualche segno tangibile della sua immensità in qualcosa che possiamo afferrare con mano?

Forse perché desidera indurci ad osservarlo più da vicino proprio per farci capire che esso è molto più capibile di quanto noi stentiamo a credere?

O Forse semplicemente vuole dirci che in ogni parte di noi vi è un oceano.

Una vita nelle minime cose che ci compongono.

Pensiamo ad una cellula per esempio: parte infinitesimale del nostro organismo con vita propria.

Qui con i miei pensieri mi collego all’ultimo ragionamento fatto da piccolo: Ogni granello mi sembrava avesse una vita propria come un piccolo microcosmo.

Osservo più nel dettaglio e vedo animaletti microscopici muoversi. Esseri talmente piccoli da stare in migliaia in un singolo granello. Non uso gli occhi per vederli, sia ben inteso, apro semplicemente la mente che sempre tenevo chiusa a chiave.  Ammiro questa meraviglia e mi nasce spontanea una riflessione:

“Se anche noi fossimo il piccolo microcosmo di qualche essere gigante superiore?

Se vivessimo in un granello chiamato, non a caso, pianeta terra?”

L’universo è infinito per noi

Bene se è questo il punto di partenza, allora per un attimo provo a pensare a cosa quell’essere microscopico veda quando io prendo la sabbia in mano.

È uno sforzo notevole arrivare ad immedesimarsi.

Mi sento restringere, risucchiare in un vortice e chiudo l’occhio della mente un attimo. Nel momento in cui lo riapro, mi trovo solo in riva al mare di notte. Osservo il cielo nero. Guardo oltre e vedo l’oscuro universo adornato di qualche stella qua e la. Ho paura del buio, semplicemente perché non riesco a scorgere cosa esso celi. Ho timore dell’oscurità perché tutto ciò che non si conosce, è pericoloso. Ho un sentore che quella pece nasconda milioni di segreti.

È proprio così dunque …

Anche quei piccoli esseri vedono quello che viviamo noi, ma allo stesso modo nostro non riescono a scorgerci, perché siamo troppo grandi da essere considerati viventi, siamo semplicemente struttura portante del loro pianeta.

Ammirano i nostri punti più in luce, le nostre stelle, tra le quali sicuramente i tre pilastri: fede, forza e carità.  Io tuttavia credo che ancor più notino: saggezza, onestà e amore. In queste virtù ricreano le loro costellazioni e noi diventiamo il loro universo immenso ed impensabile.

Un (i) verso …

la nostra mente va in un'unica direzione, alla fine come le bussole indica sempre e solo una strada, la più fredda, quella verso il nord.  Effettivamente basta estrarre l’ago dal suo contenitore per poterlo lanciare in ogni direzione. Se dunque riuscissimo a toglierlo dal nostro corpo, potrebbe viaggiare in modo ellittico come ha fatto nei miei pensieri. Devo sforzarmi di togliere ogni altro dubbio dal mio corpo dunque, e capire altro, realizzare ciò che finalmente potrebbe rendermi libero.

“Voglio tornare bambino sarebbe tutto più semplice …”

Quante volte ho pensato a questa frase nella mia vita!

“Voglio diventare grande per loro è tutto più facile …”

Una sottile differenza è racchiusa in questi due pensieri, l’adulto ricerca la serenità, il piccolo la conoscenza .

Non dovrebbe forse essere il contrario?

by Mirko Delgrossi

1.4 volando con il colibrì



Era il momento di spiccare realmente il volo,
era l’attimo giusto per abbandonare le catene che lo legavano al suolo.
Adesso che poteva, nulla avrebbe potuto bloccarlo.
Iniziò così a fluttuare nell’aria;
come una piuma, librava nel vuoto salendo sempre più.
Il colibrì che non si era mai allontanato voleva sospingerlo nell’etere,
ma il poesiante aveva in mente un’altra destinazione,
le storie del suo cuore:
i ricordi, le avventure, i sorrisi e i fremiti provati.
Sentiti, sì, ma mai rinchiusi in delle righe.
Fu così che prese il piccolo volatile in custodia per un po’ di tempo,
lo afferrò per l’ala e lo accompagnò nel suo volo:
un sogno vissuto, sbiadito col crescere della razionalità.
Il resto fu circostanza:
Eolo spalancò le finestre, le zanzare smisero di ronzare,
la pioggia continuava a battere sulla tastiera i suoi pensieri
e insieme al colibrì il poesiante fluttuò verso storie.
Leggiadra e soave sensazione,
membra che si sgretolarono al contatto con l’aria,
pensieri che indicarono la via, come un tramonto sul mare.
La sua essenza si miscelò agli elementi del cielo.
“Da adesso ti parlerò io Coli… brrrr… i.
Ora tocca a me spiegarti cosa sia veramente un essere umano,
e ti ringrazio infinitamente.
Senza il tuo aiuto non sarei mai riuscito a rendere le mie dita pioggia,
non sarei mai stato capace di sparare alle mie paure,
non mi sarei più mosso.
Il tuo chiamarmi dalle pagine bianche mi ha aperto gli occhi,
hai preso per mano i miei pensieri e li ha fatti danzare,
hai forgiato la mia autostima.
Vola con me ora che ho infinite storie da tramandarti
e se puoi, una volta che le hai ascoltate,
torna a danzare per qualcun altro.”
In risposta ottenne un:
“Prrrrr….. omesso.”
Da quel momento svanirono insieme nella dimensione dei ricordi.

by Mirko Delgrossi

03/05/13

1.3) nel ventre di una matrioska (dialogo con se stesso del poesiante)



“Cosa sono stato io fino ad adesso?
È stato così difficile tornare al mio mondo,
ma per quale motivo?
Come ho fatto negli anni a costruirmi tutte queste maschere,
a distruggermi nelle barriere,
a nascondermi.
Perché mai ho voluto rendermi comune agli altri?
Perché ho desiderato così tanto essere uno dei tanti?
Perché ho dimenticato la mia vera essenza?
Velo su velo,
manto su manto,
corazza su corazza si è costruita la mia matrioska.
Cieco il dolore che mi ha portato a incatenarmi.
Sordo io a non saper ascoltare il mio cuore.
Monco il mio cammino fino ad oggi.
E questa guerra che ho combattuto al fine di liberarmi,
di uscire come nocciolo dalle barriere della bambola che mi avvolgeva
quanto è stata difficile.
Al buio, al chiuso, che cerchi di esplorare,
 ma ti arrendi perché non riesci ad aprirti,
non riesci ad uscire allo scoperto.
Le pareti all’interno non hanno appigli,
fai un passo per arrivare alla prima apertura ma scivoli giù
e come se non bastasse subito dopo sei punto e a capo.
Anche se riesci a spostare la prima porta
ti trovi bloccato dallo stesso identico ostacolo.
In realtà non proprio uguale,
decisamente più grande.
Ogni piccolo passo che fai,
trovi un problema ancora maggiore da affrontare,
così succede che perdi la voglia e rimani in un pozzetto,
in una situazione ibrida per lungo tempo.
Poi ti arriva un calcio in culo dalla vita,
 inizi a pensare e ti rialzi.
Dovremmo cercare di stare sempre in piedi,
aprire queste maledette pareti una ad una
e uscire a ballare con i colibrì.
Che sia davanti ad un’altra fetta di matrioska?
No...
Adesso sto volando!"

by Mirko Delgrossi

1.2) il colibri danzante



Osservava lo schermo e ne fissava la profondità,
non riusciva in realtà a far chiarezza nei suoi pensieri,
tuttavia se ne stava lì, allegro, con la tastiera d’accarezzare
e si sentiva estraniato da tutto il resto.
Guardando quella bellissima pagina bianca a schermo intero,
immerso nell’oscurità della stanza sapeva benissimo dove trovare ogni
singolo tasto,
 componeva sognando e lasciando viaggiare le dita.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal ticchettio delle lettere,
una sinfonia di storie da raccontare
e proprio sul climax delle trombe aprì gli occhi.
Davanti ai suoi occhi il foglio bianco si stava tramutando in origami,
si piegava si accartocciava e diventava una creatura,
candida, minuta, danzante.
Un uccellino assai piccolo che ne cinguettava la melodia dei tasti,
un” trrr”... emolio di battiti d’ali,
un “brrr”… usio  nella mente del poesiante,
un “frrr”… emito al cuore.
Ballavano insieme la stessa musica,
nel mondo dei sogni delle parole che vengono scritte,
diventavano un tutt’uno e iniziarono un viaggio a braccetto,
un volo insieme ad a letto,
verso il mondo del bien sûr reale.

by Mirko Delgrossi